L'isola dove la storia è arrugginita  

La Georgia del Sud è un territorio britannico d'oltremare situato nell'Oceano Atlantico Meridionale, all’interno della convergenza antartica. Assieme alle Isole Sandwich Australi, costituisce un arcipelago di isole remote e inospitali. L’isola, lunga 165 km e larga tra 2 e 40 è di gran lunga la maggiore dei territori australi inglesi. Le Isole Sandwich Australi sorgono circa 700 km a sud-est della Georgia del Sud. L'area totale del territorio ammonta a 3.903 km².

Sulle isole non vi è popolazione permanente. Gli abitanti (una trentina che si alternano a rotazione) sono ufficiali del governo britannico, scienziati e staff di supporto del British Antarctic Survey che lavorano in basi scientifiche sull’isola di Bird e nella capitale King Edward Point, più uno staff che gestisce il museo tra le case abbandonate di Grytviken.

Tutte queste isole sono rivendicate dall’Argentina, che mantenne una stazione navale, Corbeta Uruguay, nelle Sandwich Australi dal 1976 al 1982. Le rivendicazioni argentine sulla Georgia del Sud contribuirono alla guerra delle Falkland/Malvinas del 1982, durante la quale le forze argentine occuparono per un breve periodo l'isola. L'Argentina continua a rivendicare la sovranità su questi territori.

Fino a una cinquantina d’anni la Georgia del Sud era il maggiore centro baleniero del mondo. Qui operavano stazioni per la caccia e la macellazione delle foche e delle balene, per ricavarne l’olio, molto richiesto per l’illuminazione e come combustibile. Nei “tempi d’oro” di questa attività sull’isola erano aperte sette stazioni per la lavorazione delle balene, tutte in insenature sulla costa nord. Negli anni ’20-’30 gli impianti a terra arrivavano a trattare fino a 30 balene al giorno, che rendevano l’ambiente "un ossario bollente nella vaselina, puzzolente di pesce rancido, letame e conceria mescolati assieme", come risulta dai racconti di alcuni visitatori. Col tempo, a causa delle caccia selvaggia i cetacei furono quasi annientati e gli stabilimenti vennero a poco a poco chiusi. Persino le otarie furono consumate fin quasi a ridurle all'estinzione. Si calcola che attorno al 1930 sull’isola non dovessero rimanere più di 100-200 otarie, poi con la chiusura delle basi si sono a poco a poco ripopolate e oggi si ritiene che ce ne siano 2-3 milioni.

Oggi le basi baleniere giacciono abbandonate. Le ultime (a Grytviken e Leith Harbour) sono state chiuse nel 1965. Gli edifici e le casematte abbandonate costituiscono un’archeologia industriale caratteristica, in cui oggi nidificano cormorani e procellarie, mentre foche e elefanti di mare le usano come tane per la riproduzione. In totale si calcola che in 60 anni in Georgia del Sud siano state macellate circa 175.000 balene solo nelle stazioni a terra. A queste si devono aggiungere quelle lavorate direttamente dalle baleniere in mare, che furono molte di più, circa 40.000 all’anno per oltre un ventennio. Le installazioni abbandonate e arrugginite si possono vedere in vari punti dell’isola, e costituiscono uno spettacolo unico al mondo.

Oggi la caccia alla balena è regolamentata da una moratoria commerciale, che obbliga i paesi più attivi (Norvegia e Giappone) al rispetto di limiti di cattura.

A Grytviken sono stati preservati il museo e la chiesa luterana, per il resto rimangono solo alcune strutture decadenti.

La Georgia del Sud è frastagliata e montagnosa, con 11 cime che superano i 2000 metri d’altezza, le cui pendici sono solcate da gole e ghiacciai. Massima elevazione il monte Paget, 2934 metri d’altezza. La vegetazione è scarsa. Non ci sono arbusti. Alcuni altipiani e vallate sono coperte dal “tussock”, una prateria alta 1-1.50 metri in cui nidificano gli uccelli.

L’isola è un vero è proprio santuario per gli uccelli australi: pinguini di quattro specie (imperatore, gentoo, chinstrap e macaroni), procellarie, stercorari, cormorani, pispole e i magnifici albatros. Ci sono anche più di 3000 renne, importate dai norvegesi per avere una riserva di carne, il cui numero viene controllato con abbattimenti mirati perché mangiano la poca erba che c’è e rappresentano una minaccia per l’ecosistema.

L'accesso a questa isola è soggetto a molte misure di tutela per la salvaguardia dell’ecosistema. Prima dell’approdo dobbiamo fare il “Biosecurity Vacuuming”, cioè l’aspirazione degli indumenti e dell’equipaggiamento che si intendono portare sull’isola, con l’obiettivo di prevenire l’introduzione anche involontaria di larve, batteri e ogni genere di specie potenzialmente invasiva.   

Malgrado il clima rigido e i venti catabatici che possono arrivare a più di 80 nodi (150 km/h), l’isola offre paesaggi eccezionali e molti che sono stati qui la giudicano il luogo più bello del mondo. Durante l'estate, che va da novembre a gennaio, la neve e i ghiacciai coprono il 75% del territorio, mentre d'inverno la coltre bianca arriva fino al mare. L'assenza di predatori naturali, assieme alla fine della caccia alle foche e alle balene, ha favorito la proliferazione della fauna: sono decine e decine di migliaia i pinguini, gli albatros, i gabbiani, i leoni marini e le foche che si possono vedere anche da molto vicino. La baia di St. Andrew ha la più alta concentrazione di avifauna rispetto a qualsiasi altro luogo al mondo, l'isola di Prion è ideale per avvistare gli albatros, mentre nel fiordo di Drygalski vivono le foche di Weddell, altrove presenti solo in Antartide.

Per arrivarci bisogna partecipare a una crociera diretta o proveniente dall’Antartide o dalle Falkland. Sono necessari permessi speciali, che vengono controllati dal personale presente a King Edward Point. Una motonave britannica, la Pharos SG, circola continuamente lungo le coste dell’isola per prevenire approdi non consentiti e soprattutto per controllare la pesca di frodo.

 

King Edward Cove e Grytviken 

Il British Antarctic Survey mantiene una stazione di ricerca situata dietro un promontorio riparato dal vento nella baia di Cumberland. Qui lavorano tra dieci e venti scienziati e amministratori, principalmente per eseguire ricerche sulla pesca.

Poco distante ci sono i vecchi edifici di Grytviken, cioè quello che rimane in piedi della vecchia stazione di lavorazione di foche e balene. Fondata nel 1904 da una società argentina guidata da un ex-norvegese naturalizzato britannico, la stazione è rimasta aperta fino al 1966, quando fu chiusa a causa del declino della popolazione di balene. Nel momento di maggiore attività ci lavoravano 300 persone.  Il grasso veniva estratto cuocendo i cetacei in enormi bollitori, quindi immagazzinando l’olio in sili di metallo. Oltre alle balene, venivano processati e macellati anche pinguini, foche, elefanti marini e otarie dalla pelliccia. I vari macchinari utilizzati per la lavorazione degli animali, arrugginiti ma ben conservati, sono ben visibili nella baia di Grytviken.

A due passi dai resti degli impianti balenieri c’è un piccolo cimitero, il luogo di riposo di un certo numero di ex lavoratori. Una tomba è di particolare interesse per gli ammiratori dei famosi personaggi dell’età eroica dell’esplorazione antartica: quella di Ernest Shackleton, famoso esploratore britannico.

L'ambizione di Shackleton era conquistare un traguardo mai raggiunto: l'attraversamento a piedi dell'Antartide. Il 5 Dicembre del 1914 la nave Endurance, con Shackleton e il suo equipaggio a bordo, salpa da Grytviken per i mari del profondo sud... nessuno immagina che non solo non ci sarà alcuna traversata a piedi dell'Antartide, ma che purtroppo la spedizione non riuscirà nemmeno ad approdare sul continente stesso, stretti nella morsa della banchisa del mare di Weddell, a sole 80 miglia dalle coste dell'Antartide. La nave, intrappolata nel pack "come una nocciolina in una tavoletta di cioccolata" viene trascinata inesorabilmente verso nord-ovest dalla deriva dei ghiacci per più di 1000 miglia nautiche, in una lenta agonia che durerà oltre 9 mesi, prima di essere schiacciata, demolita e divorata dalle enormi tensioni nel pack. Gli uomini della spedizione passano 5 mesi in un accampamento alla deriva sul pack e poi sui lastroni di ghiaccio, fino a raggiungere dopo mille peripezie Elephant Island, la più orientale delle Shetland australi, dove si accamparono presso l'attuale Point Wild, all'interno di una scialuppa capovolta. Il 24 Aprile del 1916, Shackleton ed altri membri della spedizione, tentarono qualcosa di eroico e umanamente quasi impossibile: l'attraversamento delle 800 miglia nautiche nel tempestoso mare di Scotia, nella scialuppa di 6 metri “Caird”, con l’idea di raggiungere la Georgia Australe e chiedere soccorso ai balenieri norvegesi per tornare a recuperare gli uomini rimasti su Elephant Island. L'incredibile impresa ebbe successo, ma la scialuppa riuscì ad approdare solo sul lato orientale disabitato della Georgia Australe il 15 Maggio 1916. Gli uomini furono costretti ad attraversare una catena montuosa ancora sconosciuta, mai mappata in precedenza e coperta da maestosi ghiacciai pieni di crepacci, prima di giungere finalmente a Stromness (vedi più avanti). Dopo venti mesi passati in condizioni estreme, tutti gli uomini, inclusi quelli accampati su Elephant Island, risulteranno sani e salvi. Shackleton morì di attacco di cuore a soli 47 anni, durante una nuova spedizione verso sud e per volere della moglie fu sepolto a Grytviken.

Una replica del Caird si trova nella galleria adiacente al museo di Grytviken, costruito per l'IMAX del film Shackleton Antarctic Adventure. Il museo è dedicato alla storia e alla natura della Georgia del Sud, mostra strumenti di balenieri, arpioni, strumenti per sezionare i cetacei e molti reperti della dura vita del lavoratori. 

 

Laboratori di ricerca a Grytviken e a King Edward Point

L’istituto British Antarctic Survey e il suo omologo Falkland Island Dependencies Survey, conducono ricerche sull’ecosistema marino in South Georgia sin dal 1949. Il laboratorio per studi sulla pesca nei territori australi inglesi (Falkland e South Georgia prima di tutto) è stato costruito adattando un edificio dismesso a King Edward Point, prima in funzione come ufficio amministrativo. 

La nuova stazione di ricerca comprende due edifici, il James Cook Laboratory e la Everson House. Tra i due edifici è posta una piccola stazione per rilevamenti della temperatura. In inverno lavorano qui tre scienziati, assistiti da cinque persone di staff di servizio, un dottore e un marinaio esperto di navigazione nei mari del sud. La Everson House ha alloggi confortevoli per ospitare fino a 18 persone, come accade normalmente nei mesi estivi, e comprende una piccola biblioteca.  Il James Cook Laboratory è costituito da tre laboratori per bioricerca e comprende un ufficio con un computer, una sala per le comunicazioni, magazzini e officina. I ricercatori dispongono di tre battelli per le uscite in mare, tra cui uno di 7 metri completamente equipaggiato per la pesca e il campionamento sottocosta e per assistenza logistica quando necessario.

 

Ocean Harbour  

Ocean Harbour è una baia a sud-est di King Edward Cove lungo la costa. Qui c’era una piccola stazione baleniera, i cui resti sono ancora in parte visibili. Prove delle tempeste che spazzano Georgia del Sud sono sparse per la baia, come il relitto del Bayard, un tre alberi di 67 m che nel 1911 fu strappato dall’ancoraggio sul molo da una violenta tempesta, pur essendo una nave di 1.000 tonnellate, e trascinato sul lato opposto del porto con forza inarrestabile per la sua residenza attuale. Oggi il relitto ospita colonie di cormorani dagli occhi blu, che si possono avvicinare con un po’ di pazienza.

Sulla spiaggia, spesso riuniscono branchi numerosi di foche. Possono diventare un problema quando ci sono i piccoli: è necessario armarsi di un bastone per scongiurare i mammiferi che diventano un po' troppo curiosi o reagiscono troppo sulla difensiva.

 

Fortuna Bay       

Nel maggio del 1916 cominciò qui la parte finale della traversata di Sir Ernest Shackleton e dei suoi compagni Frank Worsley e Tom Crean attraverso la South Georgia, gli ultimi 5 km verso la base di Stromness e la salvezza. Qualcuno del nostro gruppo sarebbe interessato a ripercorrere questo cammino, che però purtroppo non è in programma.

In questa spiaggia il comitato di accoglienza è costituito da un folto gruppo di foche dalla pelliccia (fur seal in inglese, in italiano otarie orsine), che se ne stanno a oziare sdraiate. Quelli che hanno più daffare sono i maschi, impegnati a difendere l’harem e il territorio dagli attacchi dei rivali.

Più in là c’è un’altra numerosa colonia di king penguins. Per raggiungere la colonia bisogna attraversare lo sbarramento dei maschi di fur seal, cosa che provoca apprensione perché ogni tanto qualche maschio ci si rivolge contro sbuffando e aprendo la bocca con fare minaccioso. Qualche altro fa anche qualche metro avanzando a balzi nella direzione di alcuni di noi. Obiettivamente, anche se siamo perfettamente in grado di muoverci più velocemente di una foca che pinneggia sull’asciutto, vedersi arrivare contro un bestione di un paio di quintali con le fauci spalancate non è affatto piacevole. Durante uno dei briefing ci avevano mostrato un filmato con immagini delle terribili conseguenze che può provocare il morso di una foca: dita e mani scarnificate di visitatori incauti. Per cui meglio muoversi lentamente e stare alla larga.

Superato lo sbarramento dei maschi di foca si raggiunge un’altra colonia di migliaia di king penguins, che stazionano nelle fredde acque di un torrente che scende dal Kõnig Glacier, la cornice di montagne che delimitano la baia. Anche queste coppie hanno molti piccoli in diverse fasi della muta: alcuni hanno pochi giorni e sono completamente marrone, altri mostrano già qualche chiazza di bianco e di nero, altri sono più avanti e presentano già il piumaggio giallo-arancione sul collo. I piccoli sono curiosi e si avvicinano dondolando, ma dobbiamo rimanere sempre a distanza di sicurezza. Non bisogna toccarli perché il grasso dei nostri polpastrelli lascerebbe un odore indelebile sul piumaggio e l’individuo verrebbe allontanato dalla colonia.

Futuro incerto per due pinguini al centro della colonia. Sono stati aggrediti dalle procellarie di mare, o forse dalle orche. Si sono salvati per miracolo ma stanno perdendo molto sangue. Non dovranno più allontanarsi dalla colonia, altrimenti i predatori li assaliranno un'altra volta, e non ci sarà più niente da fare. Le procellarie giganti dal terribile becco adunco sono lì, volteggiano minacciose sopra di loro pronte ad attaccare. Gli skua invece vanno alla ricerca di un uovo o una placenta non custoditi. Male che vada si accontenteranno di spolpare la carcasse dei pinguini, quando le procellarie si saranno saziate. 

 

Cobbler’s Cove e i pinguini macaroni        

Durante la notte la Plancius si è spostata verso est raggiungendo la baia di Godthul e la magnifica insenatura di Cobbler’s Cove. Questo terzo approdo sull’isola ha come obiettivo la ricerca dei pinguini macaroni, cosiddetti a causa delle loro nappe giallo-arancio. I macaroni sono la specie più diffusa nelle aree antartiche e subantartiche, ma raggiungere le loro colonie è difficile perché nidificano in zone molto esposte al vento. Qui in South Georgia questa specie di pinguini occupa praticamente tutta la costa sud, che purtroppo è del tutto priva di approdi, quindi per vedere da vicino una colonia bisogna arrivarci a piedi.

Per raggiungere la colonia di Cobbler’s Cove dobbiamo fare una faticosa camminata di 2.5 km superando un’aspra collina di 300 metri circa in mezzo alla pietraia e al tussock e sotto lo sguardo minaccioso dei soliti maschi di foche della pelliccia. Il percorso non sarebbe lunghissimo, ma la ripida pendenza e soprattutto la bardatura che abbiamo addosso (stivali, giaccone, maglione, pantaloni waterproof) lo rende davvero impegnativo. Alla fine abbiamo il fiatone, ma l’obiettivo è raggiunto: davanti agli occhi abbiamo la colonia di macaroni penguins che sta dall’altra parte della collina. Ci avviciniamo fino a pochi metri, tra i rimproveri delle guide che chiedono una distanza maggiore. Sono molto simili ai rockhopper delle Falkland, ma più grandi e con un vezzoso ciuffo di colore arancione. Sotto la colonia c’è uno scoglio (rookery) con centinaia di coppie pronte a lanciarsi alla caccia del krill. Le pendici delle colline che circondano gli scogli sono tappezzate di nidi, ma sono molto lontane e a causa delle spaccature nel terreno e dei dirupi a strapiombo sul mare non possiamo arrivarci. Rimaniamo un po’ stupiti nel vedere come i pinguini con le loro tozze gambette palmate riescono a salire sulle ripide pendici della collina meglio di noi.

La colonia che abbiamo raggiunto intanto si lascia fotografare docilmente alla canonica distanza di sicurezza di 5 metri stabilita dalle guide.

 

Grytviken: il massacro delle balene e la tomba di Shackleton          

E’ un pomeriggio di sole pieno, una vera rarità qui in South Georgia, quando attraversiamo la Cumberland Bay e arriviamo nell’unico centro stabilmente abitato di tutta l’isola. A Grytviken, nella base di King Edward Point, lavora continuativamente un gruppo di scienziati e ricercatori, 80-100 d’estate e la metà in inverno. Una ricercatrice del South Georgia Heritage Trust sale a bordo per fornirci una panoramica del progetto di restauro dell’habitat e in particolare del piano di derattizzazione totale dell’isola, processo che si è concluso da poco. 

Grytviken, termine norvegese che vuol dire “la baia dei pentoloni”, è l’unica delle antiche stazioni baleniere che si può visitare, essendo stata ripulita e liberata da tutte le installazioni pericolanti e in particolare dall’amianto. Tra le strutture arrugginite si aggirano le foche che ne hanno fatto dimora e rifugio.

In questa base, e in altre basi costruite nelle baie dell’isola, per decenni fu perpetrato un vero e proprio massacro di foche dalla pelliccia, elefanti di mare e soprattutto balene di ogni specie, cioè tutti gli animali che potevano essere utilizzati per ricavare l’olio. Nel periodo d’oro della caccia alla balena (1910-1950) qui venivano macellate fino a 35-40 balene al giorno. Un filmato scioccante, che viene proiettato nel museo eretto tra le rovine, mostra come in soli 20-30 minuti una balena veniva completamente scuoiata dello strato di grasso, con delle apposite grandi lame montate su bastoni dal lungo manico (“flensing knives”). Il grasso veniva poi bollito nelle caldaie che si vedono ancora oggi, per ricavare l’olio, che era una risorsa di alto valore commerciale nella prima metà del XX secolo.

I silos di bollitura, i decantatori, i separatori, le pompe e i serbatoi arrugginiti che brillano alla luce del sole sono una inquietante testimonianza di archeologia industriale destinata al trattamento del grasso animale, proveniente da foche, elefanti di mare e balene. Nell’impianto principale si vede ancora il nastro trasportatore su cui venivano caricati i pezzi di balena macellati, quindi la tramoggia di raccolta e la grande caldaia per la bollitura. Accanto a questo, c’è un altro impianto montato in un secondo tempo dietro ingiunzione del governo delle Falkland, che obbligò i gestori della stazione, cioè la “Compañia argentina de pesca”, a trattare anche la carne, le viscere e le ossa delle balene, che stavano provocando gravi problemi di inquinamento ambientale. Pare che in alcuni periodi dell’anno il fetore delle carcasse in decomposizione qui fosse quasi insopportabile. Da carne e ossa, in effetti, si poteva ricavare una ulteriore quota di olio, circa il 20% del totale.

Questa frenesia operativa e gli alti guadagni che derivavano dalla vendita dell’olio permettevano ai balenieri che lavoravano qui di ottenere un salario altissimo, che li ricompensava dalle condizioni di lavoro estreme, dal freddo, dal vento, dalla puzza dei resti organici in decomposizione. Qualche anno di lavoro qui avrebbe garantito alle loro famiglie una buona sistemazione economica per il resto della vita, così le richieste di lavoro non mancavano. Il museo di Grytviken racconta la vita di questa gente, che era riuscita addirittura a costruire una scuola, una biblioteca e persino una pista per il salto con gli sci.

La pista terminava proprio vicino alla chiesetta luterana nota come “la cattedrale dei balenieri”, che peraltro la usavano più come deposito per le patate che per scopi religiosi. Nella biblioteca della chiesetta c’è l’ex voto di Reinhold Messner, che nel 2000 ripercorse la traversata di Shackleton da King Haakon Bay nella costa sud fino alla baia di Stromness dall’altra parte dell’isola.

Nel porto abbandonato giacciono i relitti di tre vecchie navi baleniere. Sulla prua della Petrel, argentina, si staglia inquietante il cannone con l’arpione provvisto di carica esplosiva che serviva per la cattura delle balene. Gli altri due relitti sono quelli della Dias, nave per la caccia alle foche, e della Albatros, baleniera di 210 tonnellate spiaggiata qui dal 2004. Ogni nave baleniera poteva trascinare fino a 13-14 carcasse di cetacei galleggianti, legate alla fiancata dello scafo.

La stazione è rimasta operativa fino al 1961, quando dovette chiudere a causa del crollo delle richieste di olio di balena, ma soprattutto perché ormai di balene non ce n’erano più. Nel periodo di attività della base qui furono macellate circa 55.000 balene, con una produzione di 2.767.456 barili di olio, pari a 455.020 tonnellate. Inoltre, sono state prodotte 195.315 tonnellate di carne di balena. Prima dell’avvio degli impianti di trattamento delle balene, la base macellava foche e elefanti di mare. Il numero di questi animali uccisi non è stato calcolato, ma è stimato in diversi milioni. Lo sterminio delle foche fu totale: attorno agli anni ’50 non si contavano più di 100 foche dalla pelliccia in tutta la South Georgia. Oggi per fortuna la popolazione si è ricostituita: si stima che ci siano 5-6 milioni di foche e qualche centinaio di migliaia di elefanti di mare.  

A poca distanza dagli impianti abbandonati c’è un piccolo cimitero. Qui è sepolto il grande esploratore Ernest Shackleton, assieme al suo secondo Frank Wild e agli operai morti sul lavoro nella base baleniera. L’impresa di Shackleton, che con una scialuppa fece quasi 1000 miglia dall’isola Elephant nelle South Shetland fino alla costa meridionale della South Georgia, che poi attraversò a piedi fino a raggiungere la base baleniera più vicina, quella di Stromness, è ricordata come una delle più ardimentose e incredibili nella storia della conquista dei territori antartici. Su questa tomba abbiamo fatto una foto ricordo dispiegando la bandiera italiana, che l’avvocato Daniele di Casalpusterlengo ha portato apposta. 

La visita degli impianti di Grytviken e della tomba di Shackleton è stato uno dei momenti più interessanti e emotivamente coinvolgenti di tutto il viaggio.

 

Ocean Harbour

Il terzo giorno in Georgia del Sud inizia un po’ grigio, anche se c’è calma di vento. La baia di Ocean Harbour è la prima meta della giornata.

Sulla spiaggia vediamo per la prima volta gli elefanti di mare. Un gruppo di questi enormi pachidermi dell’oceano se ne sta spaparanzato in apparente immobilità, aprendo appena un occhio sonnolento per vedere chi è l’intruso venuto a disturbare la loro invidiabile pace antartica. Guai ad avvicinarsi troppo, il morso è tremendo e se ne vedono le tracce sul collo di vari esemplari. Nel 2016 un incauto turista intento a scattare foto inciampò in un elefante di mare, che si rivoltò e lo morse a un braccio provocandogli una ferita profonda. La nave dovette fare precipitoso ritorno alle Falkland, a Stanley dove c’è l’ospedale più vicino.

Gli elefanti marini che vediamo sono individui giovani e di media età venuti qui per la muta, ma pesano già 1.5-2 tonnellate. Da adulti raddoppieranno di peso. Quando decidono di spostarsi sono di una comicità assoluta: si trascinano per 3-4 metri, che è il massimo tratto che riescono a fare a ogni tentativo, con spinte delle pinne e della coda, poi ripiombano pesantemente a terra. Ogni tanto due maschi si ergono sulle pinne e cominciano a duellare a colpi di panzate, grugniti e morsi, per una questione di qualche metro di territorio in più. Con le fauci aperte, anche solo per un innocente sbadiglio o un rutto, mettono un po’ di inquietudine. Dopo tre o quattro testate con esibizione delle fauci spalancate, uno dei due si ritira senza alcuna apparente ragione tale da giustificare la vittoria o la sconfitta.

Lascio la zona degli elefanti di mare perché a un centinaio di metri di distanza c’è un grande trambusto di skua e procellarie. Vediamo cosa succede.

Una giovane foca difende il proprio piccolo dagli attacchi sempre più frequenti e insistenti dei rapaci, soprattutto da due enormi procellarie che attaccano ripetutamente il piccolo prendendolo a beccate. Il cucciolo di foca pare già morto, ma la madre tenta di rianimarlo con leccate e piccoli buffetti col muso. Le procellarie però si sono accorte che il cucciolo è una preda accessibile, e intensificano gli attacchi verso la giovane foca cercando di strapparle il corpicino inanimato. Per mezz’ora la foca difende il piccolo dagli attacchi degli uccelli, poi sfinita si arrende. Una grossa procellaria glielo strappa via. Per dare un’idea delle dimensioni e della potenza di questi uccelli, consideriamo che il cucciolo di foca sarà 8-10 kg, ma il rapace lo trascina via sbattendo le grandi ali senza apparente difficoltà. Lo strazio prosegue con la procellaria che affonda il becco nel piccolo cadavere strappando le viscere e inghiottendole. Il resto, quello che ancora rimane attaccato alle ossa, toccherà agli skua. Una scena drammatica e straziante, che è vita quotidiana in queste lande. Sono riuscito a documentare questa scena con dei filmini che lo staff di Oceanwide mi ha chiesto di copiare e di potere usare per una presentazione: no problem.

Lasciamo la baia passando davanti al relitto del Bayard, un tre alberi arenato qui dal 1911. I cormorani ne hanno fatto la loro casa, e gracchiano indignati quando passiamo troppo vicino ai nidi con lo zodiac.

 

Leith Harbour

Nella baia di Cumberland ci sono i resti di quattro stazioni di lavorazione baleniera: Grytviken, Husvik, Stromness, e Leith Harbour. Quest’ultima, operativa nel periodo 1909-1965, è stata la più grande delle sette stazioni baleniere costruite sull’isola.

Queste stazioni offrono uno scorcio storia industriale dell’isola a lungo dimenticata: la maggior parte delle apparecchiature, abbandonate e lasciate esposte alle intemperie, resta dove era nei suoi ultimi giorni di utilizzo. La ruggine è il colore prevalente dei relitti abbandonati, di edifici, navi, barche, trattori, e rottami di acciaio.

A Husvik era posizionato l’impianto baleniero galleggiante Bucentaur, chiuso nel 1960 quando gran parte delle installazioni fu trasferita a Grytviken.

Stromness Bay è il punto dove approdò Shackleton con la lancia Caird, e da qui si fece la traversata delle montagne interne fino a Grytviken. E’ stata un’officina di riparazione degli scafi, attiva fino al 1961.

Dedichiamo un pomeriggio a una zodiac cruise per vendere Leith Harbour, nella parte più a ovest a Stromness Bay.

Leith fu fondata nel 1909, prendendo il nome da un sobborgo di Edimburgo, dove la compagnia di balenieri scozzesi Christian Salvesen & Co. Ltd. aveva la sua sede principale. Il porto di Leith era la più grande base operativa baleniera della Georgia del Sud. Nel periodo di massimo splendore, attorno al 1930, questa era un'affollata città baleniera che brulicava di oltre 300 addetti che processavano cetacei, riparavano le navi della flotta baleniera, scaricavano rifornimenti e caricavano i prodotti delle balene per la spedizione verso i lontani mercati europei e americani. Qui c’erano una biblioteca, un ospedale, un teatro, un cinema e perfino una ferrovia. La gente veniva da Stromness per vedere i film.  Il cinema proiettava solo una dozzina di film, ripetendoli a rotazione, perché chiaramente in questo territorio lontano non c’era molta possibilità di ricambio dello stock di pellicole.

Non è stato possibile avvicinarci a meno di 200 m dagli impianti di Leith a causa dei rischi dell'amianto una volta usato nei materiali da costruzione. Tuttavia, la zodiac cruise ci ha offerto splendide viste degli edifici industriali abbandonati, dei tre moli ricoperti di vegetazione, del piano di squartamento delle balene, dei serbatoi di stoccaggio e degli alloggi.

Gli animali si sono impadroniti dell’area. Le immancabili foche dalla pelliccia hanno requisito ogni spazio disponibile sulla spiaggia, per riprodursi, litigare, giocare e riposare. Tra gli ammassi di kelp, un gruppo di sterne antartiche si tuffa in picchiata per raccogliere pesci e gamberetti per la prole.

Tutto attorno, spoglie montagne stratificate circondano la baia. La geologa dello staff ci spiega come si sono formati gli strati sovrapposti di roccia sedimentaria di colori diversi che caratterizzano le formazioni della Cumberland Bay.

 

Albatross Island e Right Whale Bay

Sulla costa settentrionale della Georgia del Sud c’è una grande baia aperta, Bay of Isles, dove sorgono numerosi isolotti che si sono staccati dalla terraferma. Uno di questi è Albatross Island, luogo di nidificazione e corteggiamento per i maestosi albatros pelagici. Questa isola, assieme a poche altre, non è infestata da ratti e gatti introdotti dall’uomo, che predano le uova e i pulcini. Oltre che per questo rischio, la popolazione di albatros è nota essere in declino a causa della pesca con i palangari che mietono vittime tra gli uccelli che si gettano sui pesci mentre i pescatori li stanno ritirando, finendo per restare allamati e per annegare. Censimenti iniziati nel 1960 su altre isole danno un tasso di declino, in termini di uccelli nidificanti, di circa il 5% all'anno. Il governo ha implementato rigide restrizioni del numero di visitatori, ma è incapace di affrontare la pesca in acque non regolamentate, che gli albatros raggiungono con facilità.

Il grande albatros vagabondo è una meraviglia da osservare in volo. Anche se possono pesare più di 10 kg e hanno un’apertura alare che supera abbondantemente i 3 metri, la loro padronanza delle correnti di vento ascensionali è assolutamente incredibile. Sono capaci di fare lunghi tratti senza mai sbattere le ali. Proprio per via della capacità di percorrere enormi distanza sull’oceano i grandi albatros sono detti “wanderers”, cioè “vagabondi”. l maggiore dispendio energetico per l’albatros è quando deve decollare, soprattutto se deve farlo dal mare e non gettandosi da una scogliera. Anche l’atterraggio è un affare delicato, al punto che spesso gli uccelli fanno diversi tentativi prima di fermarsi a terra.

Sono uccelli monogami, che devono conquistare la femmina con un lungo corteggiamento, basato su un rituale di danze, strofinamenti e esibizioni del petto e dell’apertura alare che può durare anche molto a lungo. La monogamia e il difficile corteggiamento sono altri fattori di vulnerabilità per la specie.

Albatross Island al momento è interdetta ai visitatori. Gli albatros si possono vedere nella vicina Prion Island.

Right Whale Bay è una baia vicina dove si può approdare, abitata da una grande popolazione di pinguini imperatore che qui trovano un luogo ben riparato. Foche, pinguini e procellarie coesistono in armonia.

 

Iceberg

La Georgia del Sud viene circondata da immensi iceberg durante l'inverno, enormi pezzi di ghiaccio che si staccano dall’Antartide e vengono trasportati verso nord dalla corrente.

D’estate rimangono i più piccoli (cioè lunghi qualche centinaio di metri), che sono facilmente visibili e riempiono l’orizzonte. Più pericolosi per la navigazione sono i floes, quelli che non possono essere visti sui radar e si trovano dovunque, obbligando spesso le imbarcazioni alla navigazione a vista.

 

Gold Harbour e Drygalski Fjord            

Oggi sveglia alle 4.45 di mattina, quindi per una volta il consueto annuncio “Good morning everyone” non viene accolto con calore, anche perché subito dopo Lynn dall’altoparlante annuncia che lo sbarco a Gold Harbour, previsto per le 5.30, è stato rimandato causa vento, e quindi si può rimanere a dormire ancora un paio d’ore.

Finalmente alle 8 il vento è calato e si può fare lo sbarco con gli zodiac. L’atterraggio a Gold Harbour è strabiliante. Una colonia di grandi elefanti di mare ci accoglie con una cacofonia di ruggiti, rutti, sbuffi e strombazzamenti. Sono cuccioli, ma alcuni arrivano già a un paio di tonnellate (da adulti il loro peso raddoppierà). I maschi lottano tra di loro per la difesa dell’harem e delle femmine, più piccole e pesanti “solo” 6-7 quintali, ergendosi sulle pinne e schiantandosi l’uno contro l’altro con violentissimi colpi e morsi. Le cicatrici dei combattimenti sono ben visibili sul collo degli individui che giacciono spaparanzati sulla spiaggia. Ogni tanto qualche maschio si sposta pinneggiando goffamente, con un ridicolo ondeggiamento di cuscinetti di grasso che si muovono ritmicamente, fino a raggiungere l’acqua. E allora accade il miracolo: tanto impacciati e comici nei movimenti appaiono questi giganteschi pinnipedi sulla terra, tanto leggiadri e disinvolti si muovono nell’acqua, che in effetti è il loro reale ambiente naturale perché ci stanno 9-10 mesi all’anno. Vengono sulla spiaggia solo per la riproduzione (in ottobre-novembre) e per la muta (in gennaio-marzo).

Un po’ più nell’interno, nel tussock, le foche hanno occupato i vagoni arrugginiti dell’antica ferrovia che qui i balenieri avevano costruito per il trasporto di pezzi di balena. Con un po’ di circospezione riusciamo a farci strada e a dirigerci verso il Bertrab Glacier che domina la baia. Dall’alto la panoramica sulla spiaggia affollata da pinnipedi e pinguini è eccezionale.

Torniamo sulla nave per il pranzo, mentre la Plancius naviga verso sud-est lungo la costa della Georgia.  All'estremità sud-orientale dell'isola, entriamo nel Drygalski Fjord. Questo fiordo penetra per 14 km nell'entroterra e fornisce una buona raffigurazione dell'interno alpino della Georgia del Sud. Magnifici ghiacciai, vallate profonde e cime aguzze dominano il paesaggio. L'acqua turchese splende per il biancore dei blocchi di ghiaccio che si staccano dalle montagne. Su un lastrone di ghiaccio una foca leopardo ci saluta sollevando la testa al passaggio della nave. Procellarie bianche e sterne antartiche ci accompagnano speranzose di ricevere qualcosa (ma gettare cibo dalla nave è ovviamente cosa vietatissima). Il panorama del fiordo è meraviglioso, siamo tutti fuori sul ponte a scattare centinaia di foto, fino a quando arriviamo al ghiacciaio Risting in fondo al fiordo. Sulla destra, dalle nere pareti rocciose che si specchiano nelle acque celesti, alcune cascatelle scendono in mare, formate dallo scioglimento dell’altro ghiacciaio Jenkins Glacier.  Il posto è ideale per la foto ricordo del gruppo, che Sara, la fotografa ufficiale della Plancius, scatta tenendo come sfondo le splendide montagne stratificate della Georgia del Sud. Foto ricordo anche per me, con gli amici brasiliani Rogerio e Vera.

Subito dopo aver lasciato il fiordo avvistiamo un gruppo di balene. Sono humpback whales, megattere. Una balena si diverte a schiaffeggiare l’acqua con la gigantesca coda: è un’espressione del breaching, fenomeno che spinge le balene a esibirsi fuori dall’acqua, con la coda come stanno facendo queste che vediamo noi, oppure talvolta facendo grandi balzi con tutto il corpo. Perché lo facciano è un mistero. Secondo alcuni naturalisti lo fanno per divertirsi, secondo altri per liberarsi di crostacei attaccati al corpo, secondo altri ancora per marcare il territorio nei confronti di un gruppo di balene vicine.

Lasciamo la South Georgia con tante immagini e tanti ricordi. Quasi quasi abbiamo dimenticato che è il 31 dicembre, e allora doppio brindisi: alle 9 per noi europei che siamo 3 ore indietro rispetto all’ora di casa, a mezzanotte per gli altri. Buon anno a tutti!!